Personaggi:
Andretti M. Ascari A. Clark J. Dennis R. Fangio J.M. Ferrari E. Forghieri M. Hamilton L. Hill G. Lauda N. Lotus Mansell N. Moss S. Patrese R. Peterson R. Piquet N. Prost A. Raikkonen K. Rindt J. Schumacher M. Senna A. Stewart J. Villeneuve G. Williams F.
Team storici:
Alfa Romeo B.R.M. Brabham Tyrrell
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Nigel Mansell
Da oscuro gregario a campione acclamato. È tutta qui, se vogliamo, la
particolarità della carriera di Nigel Mansell, pilota passato alla storia
per la sua grinta, il suo coraggio, il suo non arrendersi mai neppure di
fronte alla sorte troppe volte avversa.
Non era un grande tattico, non aveva la visione di gara di un Lauda o di un
Prost né il perfezionismo di Senna: il suo obbiettivo era l’avversario da
sconfiggere, da demolire anche psicologicamente, a colpi di giri veloci. Se
l’avversario era dietro il suo obbiettivo era fare il vuoto, se era
davanti non si dava pace fino a quando non entrava nel suo mirino. Aveva la
straordinaria capacità di tenere altissimo il ritmo per una corsa intera, senza
le pause che tipicamente un pilota si concede anche nelle corse più combattute e
lo faceva fino alla fine, quando usura dei pneumatici e consumi avrebbero
consigliato maggiore prudenza. Questo suo modo di correre, senza pace, senza
tregua, fece letteralmente impazzire il suo principale avversario, Nelson
Piquet, fino a fare sparire dalle labbra dello “zingaro” il suo mitico sorriso
ironico.
Nell’ambiente della F.1 Mansell è stato, per ragioni uguali ed opposte,
amatissimo dai tifosi e detestato dai critici. La folla ammirava il suo coraggio
e la sua dedizione alla lotta allo stesso modo con cui i critici detestavano gli
errori in cui, di tanto in
tanto, cadeva. Allo stesso modo gli addetti ai lavori difficilmente tollerano chi
non ha fortuna: non di certo per antipatia personale ma, più probabilmente,
perché, chi vive dell’analisi di uno sport, difficilmente è propenso ad
ammettere che qualche cosa di sfuggente, di non controllabile come il caso
possa essere stato determinante in un risultato, preferisce ignorarlo e trovare
una spiegazione “logica” anche là dove non può esserci. Per i tifosi, quindi,
Mansell aveva perso ben tre mondiali solo perchè “sfortunato”, mentre per i
critici era irrimediabilmente “sprecone” ed “inconcludente”..
Quello che in realtà gli addetti ai lavori non hanno mai perdonato a Mansell
era il fatto di essere un “parvenu”, un “intruso”, uno che si era distaccato
dalla mediocrità a cui sembrava condannato ed essere entrato all’improvviso,
senza neppure chiedere permesso, nel giro dei piloti che contano. Quando un
giovane pilota comincia a dimostrare le proprie doti, i “divi” dell’ambiente
tentano in tutti i modi di tenerlo alla larga, assumono un atteggiamento
guardingo ed usano anche la stampa amica per cercare di screditarlo o, comunque,
di guadagnare posizioni “politiche” che permettano di guadagnare tempo. Ma,
psicologicamente, si preparano all’inevitabile scontro. Così è stato, ad
esempio, con Senna e Schumacher.
Ma con Mansell era diverso. Quando comincia a
mettere a soqquadro l’ambiente ha già 33 anni e la stessa età dei campioni più
affermati dell’epoca. In cinque stagioni alla Lotus aveva fatto vedere ben poco,
era solo una figura di secondo piano, il fido scudiero di Elio De Angelis.
Difficile immaginare che, all’improvviso, questo scudiero si mettesse a correre
come un pazzo e a demolire in termini velocistici il suo caposquadra. Nel 1986
rivoluziona l’ambiente della F.1: maltratta il suo compagno e manda all’aria
tutte le previsioni che vedevano in una serrata lotta Prost – Piquet il filo
conduttore della stagione. Solo adottando questa chiave di lettura è possibile
capire il mito del “Leone” mai domo e del suo numero “5 rosso”.
Che in questo strano inglese, classe 1953 di Upton On Severn, protagonista
delle formule minori in Gran Bretagna, ci fosse qualcosa di buono, lo aveva
intuito il solito Colin Chapman, patron della Lotus, che lo mette sotto
contratto a partire dalla stagione 1980. Nella casa inglese rimane cinque anni,
fino al 1984: buone prestazioni in qualificazione, qualche piazzamento e niente
di più; il “buon” comprimario di Elio De Angelis, all’epoca alfiere della Lotus.
Frank Williams simpatizza per lui e lo porta nella sua scuderia nel 1985,
proprio quando comincia l’epopea del turbo Honda. Dopo una stagione di rodaggio
(dove arrivano le prime vittorie), Mansell si scatena, sorprendendo tutti per
grinta e velocità. Infatti nelle stagioni 1986 e 1987 è il grande protagonista:
vince ben 13 gran premi dando spettacolo e facendo disperare il suo compagno di
squadra, Nelson Piquet, che sembrava destinato ad una passeggiata trionfale in
entrambe le stagioni. Ma la sorte, mai dalla sua parte, gli nega la conquista
del titolo mondiale, assumendo sempre la forma di un pneumatico. In Australia,
ultimo G.P. della stagione 1986, la gomma scoppia mentre gestiva un comodo terzo
posto più che sufficiente alla conquista del titolo che finirà poi, nelle mani di un
incredulo Alain Prost. In Ungheria, nel 1987, una ruota maldestramente avvitata
da un meccanico si stacca mentre era abbondantemente in testa: il colpo del K.O.
al suo compagno di squadra si trasforma in un boomerang e rilancia un ormai
sfiduciato Piquet. La disperata rincorsa che ne seguirà si concluderà
tristemente a Suzuka dove un terribile incidente gli procura lo schiacciamento di due
vertebre che gli impedisce di partecipare agli ultimi due gran
premi.
Il 1988 è un vero purgatorio: la Honda non ha perdonato la mancata conquista
del titolo 1986 addebitandola alla lotta troppo concitata tra i due piloti della
scuderia. Così l’astuto Ron Dennis ha gioco facile a strappare ad uno sfortunato
Frank Williams i
motori Honda. Contro le vetture di Senna e Prost nel 1988 nessuno può nulla,
tantomeno Mansell, al volante di una Williams motorizzata Judd (un motore di
F.3000 modificato per l’esigenza) e alle prese con i postumi dell’incidente. La
sola nota positiva è un nuovo contratto con la Ferrari per la stagione
successiva: era stato proprio il grande Enzo (morto nell’agosto di quell’anno) a
volerlo assolutamente in squadra.
Alla
Ferrari Mansell passa due anni. Nella stagione 1989 guida la casa di
Maranello alla riscossa, infila due vittorie gioiello e compie la grande impresa
della sua carriera: sul circuito dell’Hungaroring, notoriamente famoso per
l’impossibilità a sorpassare, parte dalla tredicesima posizione e vince dopo
aver “infilato” 11 avversari con sorpasso finale, memorabile, a scapito del
grande Senna. Il 1990 è, invece, afflitto da troppi ritiri mentre Prost, suo
compagno in quella stagione, lotta per il titolo. Dopo l’ennesimo abbandono
durante il G.P. di Inghilterra, Mansell annuncia, mestamente, il suo primo
ritiro.
Ma per il “Leone” non è ancora tempo di pantofole: Frank Williams lo richiama
in fretta e furia e gli affida una delle sue Williams Renault. Se nel 1991,
superate le difficoltà tecniche iniziali, lotta fino all’ultimo per il titolo
con Senna e si classifica “solo” secondo (anche per colpa del solito pneumatico
avvitato male, questa volta in Portogallo), nel 1992 domina completamente la
stagione: troppo superiore tecnicamente rispetto alla concorrenza la Williams e
troppo motivato il suo pilota. Mansell vince 9 G.P. su 16, si laurea campione
con 5 gare di anticipo lasciando agli altri solo le briciole.
Questa formidabile stagione sarà, purtroppo, la sua ultima intera in F.1. Nel
1993 viene, infatti, appiedato per motivi “politici”: la Renault, impresa
pubblica francese, vuole un pilota francese e lo sceglie in Alain Prost. Mansell
si rifugia negli “States” dove vince il campionato di F.Cart.
Mansell farà qualche altra apparizione in F.1: nel 1994 ancora con la
Williams dopo la morte di Senna, riuscendo perfino a vincere l'ultimo G.P. della
stagione, e nel 1995 per soli due G.P. con la McLaren.
I risultati sono scarsi e, dopo il gran premio di Monaco del 1995, Mansell
annuncerà il suo ritiro, stavolta definitivo. A 42 anni, l’inesorabile passare del tempo
ha ormai consumato gli artigli del “vecchio” Leone....
Marcello Carpinelli
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